Ex-Ilva: dove sono finiti i soldi dei Riva?

TARANTO – La storia della famiglia Riva, dei suoi soldi e dei successivi sequestri è stata sicuramente una delle più seguite dai cittadini di Taranto, ma anche da tutt’Italia, perché questa ha interessato l’impianto siderurgico più grande d’Italia ossia: L’ex Ilva.

Ma quanti sono i soldi e i beni sequestrati alla famiglia Riva e dove sono finiti? I costi erano più di un miliardo, trovati dai magistrati milanesi nei conti in Svizzera e tecnicamente disponibili da giugno del 2017 e vincolati alla decontaminazione e alla bonifica dell’area dell’Ilva di Taranto. 

Dopo due anni però questi soldi non sono stati né spesi né allocati del tutto. Infatti ad oggi solo la metà del milione e più dei Riva sono stati usati per decontaminare, gestire e trattare le acque, i rifiuti e bonificare le discariche, così emerge nelle ultime audizioni pubbliche in Parlamento effettuate dai commissari straordinari Corrado Caruuba, Piero Gnudi ed Enrico Laghi.

Il cambio dei commissari

Dal primo giugno i commissari straordinari hanno lasciato spazio ai successori: Francesco Ardito, Antonio Lupo e per ultimo Antonio Cattaneo. Proprio Antonio Cattaneo però ha deciso di lasciare l’incarico prima dell’insediamento perché in conflitto d’interessi, in quanto al momento la società che controlla è controparte di ArcelorMittal, che adesso è la proprietà dell’Ilva. I commissari uscenti si sono dismessi dopo aver portato a termine il passaggio di ArcelorMittal conclusosi il 1 novembre del 2018. Il cambio della guardia al momento è stato voluto dal Ministro Di Maio, che ha dato inizio a quella che chiama fase 2 per l’acciaieria e per Taranto. Piano 2 che però vede già delle falle con un commissario straordinario in meno. 

Ma dove sono gli altri 450 milioni?

La domanda è sempre quella ossia dove sono rimasti i 450 milioni ancora non spesi o allocati? Dovrebbero essere destinati a altri interventi per la bonifica dell’area Ilva, che però al momento sono sotto sequestro come quelle dove si trovano le discariche adiacenti alla gravina di Leucaspide, Cava Mater Gratiae, e delle collinette che separano invece l’acciaieria dal quartiere dei Tamburi. Insomma, questo denaro avrebbe dovuto preservare la salute dell’acciaieria, ma invece si sono trasformate in discariche inquinate, che hanno portato anche alla chiusura della scuola dei Tamburi. Scuole che al momento sono sotto “assedio” dei genitori, che vogliono riportare i loro figli in scuole sane pulite e sopratutto non inquinate.

Al momento, considerando gli interventi e le aree sequestrate ogni intervento andrà pensato di concerto con l’autorità giudiziaria con 450 milioni d’allocare, per ora i nuovi commissari potranno fare poco, perché i soldi necessari sono molti di più. Per questo motivo al momento c’è il timore che questi possano essere dirottati da un’altra parte nonostante il vincolo del 2017 per il risanamento di Taranto. Dopo tutto una legge, può essere facilmente superata da una nuova se lo volesse il governo.

Con ArcelorMittal un patto in pericolo

In questa estrema confusione tra soldi che non si sa che fine abbiano fatto e gli interventi per eliminare le zone inquinate, sorge anche il problema con ArcelorMittal. Infatti si denotano due nuove problematiche la prima è sul piano istituzionale e politico dove il ministero dell’Ambiente ha deciso di cambiare le prescrizioni antinquinamento per l’acciaieria ArcelorMittal Italia, che ha firmato un decreto per riesaminare nuovamente l’Autorizzazione integrata ambientale.

Cosa cambierà? Al momento non si sa esattamente. Per il ministro Costa del Movimento cinque stelle, per adesso si procederà con il fissare delle condizioni d’esercizio più adeguate. Il problema che anche questo commento fa trasparire l’incertezza che non piace nemmeno ad ArcelorMittal. Infatti, la seconda problematica è espressa proprio dall’AD Matthie Jehl che ha affermato di aver preso un impegno e fatto un contratto con l’Ilva secondo uno specifico quadro legislativo. Quindi per andare avanti la nostra azienda ha bisogno di sapere che questo quadro c’è ancora. 

Il quadro però lo sta modificando anche ArcelorMittal, infatti sul piano industriale, il gruppo guidato dalla famiglia Mittal, a meno di dieci mesi dall’accordo, ha deciso di far partire la cassa integrazione. A detta loro a “causa di una crisi di mercato”.

Dal primo luglio infatti sino quasi alla fine di settembre, per ben 13 settimane, 1400 dipendenti su 8200 complessivi, saranno in cassa integrazione ordinaria. Durante l’accordo che era stato firmato a settembre al Mise il gruppo aveva assunto 10,700 persone, e già allora 2586 persone erano passate all’Ilva in amministrazione straordinaria, in cassa integrazione. Quindi al momento sarebbero circa 4 mila le unità che ci sono in cassa integrazione. Ma l’acciaieria era guidata dall’amministrazione straordinaria non dal più grande gruppo siderurgico del mondo. 

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