Comune di Taranto: prescritti nella vicenda del dissesto

TARANTO – La vicenda giudiziaria sul dissesto del Comune di Taranto le cui indagini partirono nel 2006 ora si conclude con una prescrizione.

Infatti, nell’ottobre 2006, il Comune fu dichiarato in dissesto dal commissario prefettizio Tommaso Blonda. Le cifre del “buco”, secondo le stime, arriverebbero dai 400 milioni al miliardo di euro.

La vicenda giudiziaria

Le inchieste sottoposte a giudizio sono diverse. Infatti, la prima della Procura di Taranto risale al 2003 e andò avanti per 3 anni. Il nome dell’inchiesta era “Bilanci Falsi”. Secondo chi indagava, per non mostrare il buco nei bilanci comunali, si erano falsificati questi documenti.

Così, partì la vicenda giudiziaria, con una sentenza di primo grado di condanna nel 2008 per persone coinvolte a vario titolo, tra cui l’ex sindaco Rossana Di Bello. In Appello, però, i giudici stabilirono che il fatto non costituisse reato (2010).

Il processo finì quindi in Cassazione, dove si annullò l’assoluzione in Appello e si chiese un nuovo processo. Questo arrivò a compimento sempre alla Corte di Appello di Taranto nel 2014.

Qui cadde la prescrizione sulla vicenda del dissesto al Comune jonico. Infatti, le parti che avevano fatto ricorso in Cassazione sperando di ottenere un risarcimento, furono costrette a tornare in appello perché non c’era prova secondo il giudice che fosse stato l’ente pubblico a causare i danni.

La seconda indagine sul dissesto

Una seconda indagine sul dissesto si chiamava “Matite d’oro”. Infatti, chi indagava pensava che fossero stati gonfiati gli acquisti in cancelleria e il loro costo. Per esempio, 18mila rubriche da scrivania costarono 220mila euro.

Anche qui, i giudici del primo grado condannarono imprenditori e dirigenti. Poi, alcune posizioni caddero in prescrizione, mentre in altri casi si parlò di assoluzione. Così, l’amministrazione successiva del Comune di Taranto fece ricorso alla Cassazione, ma questo non fu ammesso dagli Ermellini.

La terza inchiesta

Altra inchiesta riguardò alcuni dipendenti. Infatti, questa si chiamò “Stipendi d’oro”. Si indagava su dipendenti la cui assunzione sembrava sospetta secondo chi indagava. In più, per via di progetti dedicati, alcuni dipendenti vedevano moltiplicarsi il loro stipendio.

L’inchiesta si concluse in primo grado con 34 condanne, ma in secondo grado si passò da peculato a truffa. Quindi, anche se poi gli interessati pagarono risarcimenti per 5 milioni di euro, scattò la prescrizione.

In più, tutto andò in Cassazione. La Suprema Corte tornò a parlare di peculato e non di truffa. Quindi, si ripassò in Appello. Qui si arriva a novembre 2019. Infatti, si arrivò a 28 condanne, ma non ci sono ancora le motivazioni della sentenza.

Come si concluse la vicenda del dissesto

La vicenda giudiziaria travolse con il dissesto il Comune di Taranto. L’ente, quindi, chiese un prestito di 250 milioni di euro a un istituto di credito. Il fatto risale al 2004. Ora l’istituto di credito in questione rientra nel circuito Intesa San Paolo.

Secondo le indagini, con 150 milioni si dovevano pagare debiti come quelli alla Cassa Depositi e Prestiti e altri 100 milioni servivano per investimenti. Invece, chi indagava scoprì che si cercò di evitare il dissesto. 

Anche qui, ci furono 3 persone condannate in primo grado, ma in secondo grado arrivò la prescrizione.

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