Rinaldo Melucci parla della Pasqua a Taranto

TARANTO – Ancora integro il ricordo sia dei riti sia dei ricordi personali che l’ex sindaco Rinaldo Melucci spiega per quanto riguarda la città di Taranto. Interessante il riferimento alla storia e alla bellezza delle espressioni dialettali che si sentivano un tempo e anche oggi talvolta.

Rinaldo Melucci: Taranto è legata alla storia

“I Riti della Settimana Santa sono per noi tarantini l’identità più profonda della città stessa. Taranto è da sempre legata alla loro storia, a ciò che rappresentano e a quanto siano in grado di tenere tutti uniti nel clima di quel triduo così sentito. La gioia delle persone nel vedere “i perdune”, il rumore delle medaglie, i fori così piccoli dei cappucci, sono quello che tutti attendiamo di vedere, ogni anno e di anno in anno.” Così il sindaco uscente di Taranto, tra l’altro anche cultore dell’arte e della letteratura.

 

Le espressioni dialettali ricordano le origini dice e finalmente tutti i riti tornano dopo 2 anni di pausa per covid. “A questo si aggiunge la bellezza delle espressioni dialettali che sentiamo ripetere durante le processioni, come “furcè” e “nguè”. Sono espressioni che ci ricordano con forza le nostre origini e la profondità delle nostre tradizioni. Quest’anno tutto questo sarà ancora più forte perché potremo finalmente abbracciare i nostri Riti dopo due anni di fermo a causa della pandemia. Apprezzeremo ancor dì più ogni singola cosa, ricordandoci che nonostante i problemi di questi anni, ci stiamo sforzando insieme per tornare alla normalità. E allora buona Settimana Santa a Taranto, ai confratelli che saranno impegnati in prima persona e a tutti i tarantini.”

Il ricordo del passato

Poi fa un riferimento al passato molto toccante. “Il fermento in casa iniziava giorni prima, ricordo ancora mio padre e gli zii che aumentavano il ritmo del lavoro per essere del tutto liberi nel triduo pasquale. Poi arrivava quella sera, noi piccoli eravamo finalmente autorizzati a tirar tardi come gli adulti, ma ci veniva imposto un gran contegno, quando penso a cosa significhi fare silenzio dentro e fuori di sé ancora mi viene in mente l’attimo della chiusura del portone e della preparazione a San Domenico, qualcosa di irreale, ancestrale, spirituale e identitario. Ma il vero momento importante per la mia famiglia giungeva nel cuore della notte, quando l’Addolorata faceva capolino a Piazza Fontana, dove il nonno aveva la sede della sua azienda e dove ogni anno, in qualsiasi condizione, allestiva un grande falò e riforniva di zeppole e bevande calde chiunque compisse quel pellegrinaggio così sentito.”

Omaggio con la marcia funebre

Infine il riferimento va alla musica. “Anni dopo, alla scomparsa del nonno, il grande maestro Simonetti volle omaggiare quella amicizia e quella tradizione, componendo una marcia funebre che si chiama per l’appunto “A Rinaldo”, e che grosso modo viene eseguita ogni volta che la processione attraversa quello spicchio di Città Vecchia. Chi è davvero tarantino può capire quelle storie, può sentire come nuove ad ogni Settimana Santa quelle emozioni.”

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